i mARTEdì – Ep. 3 – Operazione Barbelli

Ieri ho pubblicato il terzo episodio de i mARTEdì – Operazione Barbelli, dedicato stavolta alla Chiesa Vecchia di Casaletto Vaprio, il luogo dove gli strappi del pittore cremasco del XVII secolo saranno ricollocati dopo il restauro.

Un viaggio, per quanto possibile in questo periodo, all’interno del luogo in cui tutto ha inizio, sicuramente l’edificio più antico del piccolo paesello del cremasco che risale al Quattrocento, anche se abbiamo notizie di una chiesa ben più antica. Anche se non vi sono certezze, nelle bolle papali del XII secolo potrebbe essere citato il primo nucleo della chiesina che per secoli è stata la chiesa parrocchiale del paese fino alla costruzione, agli inizi del Novecento, della chiesa attuale.

La puntata di ieri è necessariamente un sunto dei secoli di Storia di questa chiesa che ha attraversato il tempo sopravvivendo al suo scorrere incessante, venendo definita -già nel Settecento- una delle chiese più antiche della Diocesi di Crema.

Ma la sua scoperta è un viaggio a ritroso nella Storia e nell’Arte di un piccolo paese di campagna..

Molto è stato fatto e molto rimane da fare per conservare questo piccolo gioiello che sopravvive ai suoi costruttori, ai suoi decoratori e ai suoi utilizzatori.

Costituisce la memoria storica di un intero paese e dei suoi abitanti, resistendo nei secoli come le grandi opere d’arte più famose, testimone silenzioso del tempo che passa inesorabile.

i mARTEdì – Ep. 2 – Operazione Barbelli

Il secondo episodio de i mARTEdì – Operazione Barbelli pubblicato ieri sera riguarda la figura di Gian Giacomo Barbelli, il più importante pittore cremasco del XVII secolo.

Nato in una famiglia piuttosto agiata in un paese nei dintorni di Crema, inizia da giovanissimo ad imparare il mestiere del pittore frequentando la bottega di un altro importante pittore cremasco, Tomaso Pombioli, ma ben presto Barbelli diventerà autonomo sia nell’utilizzo della tecnica pittorica che nella gestione delle commesse, tanto da aprire lui stesso una bottega nella quale avrà, come allievo, un giovane Evaristo Baschenis.

L’opera di Barbelli, ancora poco nota alla maggior parte degli appassionati e studiosi d’Arte nazionali, è stata fondamentale sia per il territorio cremasco che per le vicine Brescia e Bergamo. Sono infatti moltissime -e notevoli- le opere che ha realizzato sia nelle chiese che nelle ville private (eccezionali sono, rispettivamente, il ciclo di affreschi di Santa Maria delle Grazie a Crema e a Palazzo Moroni a Bergamo) di questi angoli di Lombardia, anche grazie alla sua capacità di adattare lo stile pittorico a quelle che potevano essere le conoscenze del pubblico che avrebbe ammirato le sue creazioni.

Il tutto inizia, però, con una curiosità di cui pochi sono a conoscenza..

Nella prossima puntata vedremo la Chiesa Vecchia di Casaletto Vaprio, il luogo nel quale gli affreschi di Barbelli sono stati strappati nel 1946 per essere venduti ad un collezionista privato e che ora sono stati riacquistati e, dopo il restauro, verranno ricollocati nelle loro sedi originarie.

La puntata, per dovere di brevità, racconta la vita di Gian Giacomo Barbelli per sommi capi, ma mi piacerebbe sapere se qualcuno lo conoscesse già prima o ne avesse mai sentito parlare. Inoltre, i consigli e le critiche sono sempre bene accetti!

Cosa ne pensate?

i mARTEdì – Ep. 1 – Operazione Barbelli

Operazione Barbelli è il nome che abbiamo dato all’operazione di acquisto di sedici strappi di affreschi, appartenenti alla ex chiesa parrocchiale del mio paese, da parte del Comune di Casaletto Vaprio e dipinti da Gian Giacomo Barbelli nel XVII secolo.

Barbelli fu il più importante pittore del suo tempo nel territorio cremasco, e a Casaletto Vaprio dipinse un intero ciclo di affreschi che poi, nel 1946, venne letteralmente strappato dal muro per essere venduto..

Ho pensato di farne una serie per YouTube, nella quale toccare un argomento diverso ad ogni episodio che potrebbe poi evolversi in una miniserie sull’Arte in generale.

Il titolo, i mARTEdì, mi è sembrato indicato sia per l’argomento, che può spaziare senza problemi, che per il giorno di pubblicazione. Questo episodio pilota, me ne rendo conto, ha molti difetti che punto a migliorare nelle puntate successive.

Spero possa piacervi e mi sarebbe molto utile sapere cosa ne pensate, quindi se vi va lasciatemi un commento.

Bellezza e Speranza

In questo periodo strano, in cui tutte le nostre certezze e le nostre abitudini sono state stravolte per far fronte a questo nemico invisibile che ci accomuna, ho sentito il bisogno di tornare a scrivere, dopo un po’ di tempo che non lo facevo.

Da un paio di giorni ho in mente queste due parole, Bellezza e Speranza, perché credo che sia di questo che abbiamo realmente bisogno ora, tutti.

La Bellezza, che nonostante tutto continua a circondarci, a riempirci gli occhi se la sappiamo trovare e vedere anche nelle piccole cose, magari proprio quelle piccole cose che fino a qualche settimana fa trascuravamo o ignoravamo. Come può essere, ad esempio, un giardino nel quale la primavera è scoppiata in silenzio, travolta da ben altre notizie.

La Speranza, quel desiderio di un domani simile al nostro ieri ma che, probabilmente, sarà qualcosa di nuovo. Abbiamo bisogno di essere rassicurati, di qualcuno che ci guardi negli occhi e che ora più che mai ci dica che andrà tutto bene. E sicuramente sarà così, sicuramente Andrà tutto bene, questa frase che ormai è diventata il leit-motiv di questo periodo accompagnando gli arcobaleni appesi alle finestre e riempiendo le città di post-it.

Non è facile trovare qualcosa che ci faccia guardare il mondo con gli occhi pervasi da queste due sensazioni. Bombardati come siamo ogni giorno, ogni momento della giornata, dalle notizie negative, non riusciamo ad accorgerci che il mondo attorno a noi continua ad andare avanti, con risvolti spesso inaspettati. Penso ai delfini che entrano nei porti in Sardegna o nei canali di Venezia, oppure alla drastica riduzione dello smog che da anni attanaglia la Pianura Padana. E proprio in questi cambiamenti che risiedono la Bellezza e la Speranza del titolo. Ce ne saranno altri, senza dubbio, magari dai risvolti meno positivi, ma questo dipende anche da noi.

Dobbiamo avere fiducia. Fiducia in noi stessi, fiducia negli altri, pur rimanendo confinati nelle nostre quattro mura. Perché ne usciremo, forse malconci, forse con le ossa rotte, ma prima o poi tutto questo finirà e allora saremo pronti a ripartire, con maggiore determinazione e decisione di prima, riuscendo a far tesoro di questa esperienza che, è inevitabile, ci cambierà profondamente.

Intanto, apriamo gli occhi. Cerchiamo il bello che c’è nel nostro piccolo. Perché c’è sempre, il bello, anche quando non lo vediamo, e guardiamo al domani con fiducia. Perché siamo come i fiori a primavera, che ogni anno rinascono per ricordarci che la stagione dura e difficile è finalmente alle spalle.

Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle

Il 2019, come è noto ormai a tutti, è l’anno di Leonardo Da Vinci.

Morto ad Amboise il 2 maggio del 1519, quest’anno vede una serie pressoché infinita di celebrazioni del Genio toscano in occasione del suo 500esimo anniversario, che viene celebrato in tutto il mondo e soprattutto in quelle città italiane nelle quali Leonardo è vissuto o anche solo passato (basti pensare a Milano, Firenze o la stessa Vinci). Di pari passo con le celebrazioni, si sono moltiplicate le pubblicazioni -già consistenti a dire il vero- sull’Uomo simbolo del Rinascimento italiano e il romanzo di Massimo Polidoro è uno di quelli, mentre qui potete trovare il mio post sul primo curriculum vitae della Storia (e indovinate di chi è..)

La trama, in breve

Attraverso un memoriale, immaginato ma verosimile, scritto da Francesco Melzi, il libro racconta i punti oscuri e le zone d’ombra della vita di Leonardo Da Vinci. Allievo prediletto di Leonardo per la sua precisione e la sua tranquillità, Melzi sarà colui che seguirà Leonardo a partire dal suo viaggio a Roma nel 1513 in tutte le sue peregrinazioni in Italia ed in Europa, fino ad arrivare ad Amboise, dove il Genio vinciano lo nominerà erede di tutti i suoi beni alla sua morte.

Il mio parere personale

Il libro di Massimo Polidoro è di quelli che si inseriscono nel filone dei manoscritti ritrovati tanto caro ad Umberto Eco e Alessandro Manzoni che già avevano utilizzato il medesimo espediente narrativo per i loro romanzi più famosi. La lettura scorre bene e veloce, ma qua è là a mio avviso traspare ciò che Polidoro è realmente: un eccellente divulgatore. Ma non un narratore. In alcuni passaggi si ha la sensazione di essere davanti ad un semplice elenco di fatti che hanno caratterizzato la vita di Leonardo Da Vinci, senza che ci sia quel collante letterario che invece si ritrova nei romanzi dei narratori.

Non fraintendetemi: vale assolutamente la pena di leggerlo. La storia di Leonardo è conosciuta ma non conosciutissima se non per quanto riguarda le sue stravaganze, i suoi molteplici interessi e, molto spesso, i suoi segreti inesistenti. Polidoro riesce a sfatare molti dei miti che perdurano ancora oggi sulla figura di quest’uomo, corredando di note quelle parti del testo che, per dovere di narrazione, vengono leggermente falsate o adattate.

Leonardo è una di quelle figure della Storia che hanno fatto versare fiumi di inchiostro in tutti i secoli, diventando protagonista di tomi infiniti di studi e dissertazioni. Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle si aggiunge alla folta bibliografia che tratta l’Uomo Universale ma che, a mio avviso, in questo romanzo sembra rimanere sullo sfondo. Si parla di lui ma si ha come l’impressione di essere davanti ad uno schermo su cui scorrono delle slide. Sono comunque certo che gli estimatori del Segretario Nazionale del CICAP non rimarranno delusi dalla lettura ma anzi avranno voglia di approfondire quella che è stata una delle vite più avventurose dell’intero Rinascimento Italiano.

Voi avete letto il libro di Polidoro? Che ne pensate?

Stanlio e Ollio

Chi non ha mai visto un loro film? Chi non ha riso almeno una volte alle loro gag incredibilmente surreali e fantasiose? Un film per riscoprire il mito di Stan Laurel & Oliver Hardy e che anche le nuove generazioni dovrebbero guardare.

La trama, in breve

Siamo negli anni Cinquanta, all’inizio del tour teatrale di Stanlio (Steve Coogan) e Ollio (John C. Reilly) in Inghilterra. Sono passati diversi anni da quando la coppia comica del cinema era al massimo dello splendore, ed ora il periodo buio è arrivato anche per loro. Se la gente continua ad andare al cinema a vedere i loro film, la presenza incombente della televisione fa si che il pubblico non li segua a teatro, dove i due continuano ad esibirsi anche davanti ad un pubblico sparuto.

La mancanza di pubblico, vecchi rancori mai sopiti e la malattia di Oliver però rischia di minare un’amicizia trentennale tra le più proficue della storia del cinema.

Il mio parere personale

Come avrete notato non amo molto scrivere la trama dei film che guardo, proprio perché, oltre ad essere ormai reperibile ovunque, può esserci il rischio che qualcuno leggendola non ci trovi nulla di particolare da suscitare emozioni come me ne ha regalate questo film. Infatti se la trama può risultare lineare e forse anche un po’ didascalica (tratta dal libro Laurel & Hardy – The British Tours di ‘A.J.’ Marriot), in un’ora e mezza viene raccontata quella che è stata una delle amicizie più incredibili della storia della Settima Arte, facendo rivivere sullo schermo due icone come era già successo con il Chaplin di Richard Atteborough (se non l’avete visto recuperatelo assolutamente!).

E, proprio come per il film con Robert Downey Jr., anche in questo si raggiungono livelli di poesia veramente eccezionali, nei quali si vedono due persone delle quali, come dice qualcuno, hanno buttato via lo stampino. Perché è questo che risalta da questo film: le persone. Stanlio e Ollio fuori dal set, quando erano semplicemente Stan e Oliver e le bombette dei loro personaggi erano riposte sull’appendiabiti. Un film sul Cinema e sul periodo successivo a quello d’oro dello splastick (per chi non conoscesse il termine, slapstick comedy indica quelle commedie nate nel periodo del muto e che si basavano sul linguaggio del corpo), dove alcuni attori avevano iniziato la loro parabola discente. Stan & Ollie, o dovrei dire Stan & Babe, come voleva essere chiamato Oliver Hardy -e riguardo al nomignolo e alle sue origini vi rimando al libro Mr. Laurel & Mr. Hardy di John McCabe la cui edizione italiana è curata dall’associazione Noi siamo le colonne– che nonostante abbiano avuto anche momenti di divergenza alla fine si sono sempre ritrovati senza mai perdersi davvero.

Credo che la sostanza di questo film sia un puro e semplice atto d’amore nei confronti di due uomini che hanno sempre avuto la capacità di vedere il mondo con gli occhi dei bambini e restituendocela, rimanendo nell’animo dei bambini loro stessi. Non importa quanto il mondo sia cinico e cattivo con loro, Ollio e Stanlio riusciranno sempre a vincere e noi faremo sempre il tifo per loro, in ogni situazione. Perché, in fondo, tutti noi siamo sia Stanlio che Ollio e perché

Il mondo è pieno di persone come Stanlio e Ollio. Basta guardarsi attorno: c’è sempre uno stupido al quale non accade mai niente, e un furbo che in realtà è il più stupido di tutti. Solo che non lo sa

Oliver Hardy

P.S. veramente lodevole l’iniziativa di RaiMovie di trasmettere tutti i film e le comiche della coppia, ogni sera alle 20. Un’operazione che poteva sembrare improbabile quanto impossibile e invece dimostra che esistono ancora persone coraggiose capaci di osare.

Il sogno sull’Amaca

Una delle opere più belle che io abbia mai avuto il piacere di ammirare e con la quale mi sono riempito gli occhi e l’anima innumerevoli volte: il Sogno sull’amaca dello scultore Gianfranco Paulli.

Il marmo di Carrara che diventa Leggerezza, diventa Poesia e, infine, diventa Meraviglia e Pace.

Gianfranco Paulli – Sogno sull’Amaca (ph. Samuele Zenone)

Il curriculum di Leonardo

Si sa, oggi Leonardo non ha bisogno di presentazioni. Quando si nomina il suo nome, le immagini che balzano in mente sono le più disparate: dalla Monna Lisa, ai disegni di macchine futuristiche, passando per il suo volto da “anziano”, con la lunga barba e la folta chioma.

Autoritratto di Leonardo Da Vinci, 1515 
(fonte: Wikipedia)

Quello che non si sa, o che in pochi conoscono, è che al suo tempo Leonardo era un uomo considerato soprattutto un artista incredibilmente dotato nella pittura. Le sue opere venivano osannate dai potenti e le commesse pittoriche non gli mancavano, basti pensare alle pressanti richieste di Isabella d’Este, signora di Mantova, per avere un suo ritratto che il Genio di Vinci non realizzerà mai se non come disegno a carboncino, sanguigna e pastello delle dimensioni di 63×46 cm. Era inoltre considerato un incredibile ritardatario per quanto riguardava le consegne delle opere commissionategli (per il Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano impiegò tre anni, con ripetute minacce da parte dei domenicani di estrometterlo dal progetto, senza pagamento per il lavoro già svolto ovviamente), a causa dei suoi molteplici interessi, specialmente in campo naturalistico e ingegneristico.

Ma prima di giungere a Milano alla corte di Ludovico il Moro, Leonardo era a Firenze, città nella quale si era formato presso la bottega di Andrea del Verrocchio e dove avevano visto la luce i suoi primi capolavori, partendo dall’Angelo di profilo presente del Battesimo di Cristo realizzato da Verrocchio stesso ed ora conservato agli Uffizi.

L'Angelo di Leonardo, dettaglio dal Battesimo di Cristo di Andrea del Verrocchio
Andrea del Verrocchio – Battesimo di Cristo, 1475-1478 (dettaglio)

Ma l’Italia del tempo era frammentata in piccoli Stati, Ducati, Repubbliche e Marchesati che vivevano perennemente in lotta e in pace tra loro, e fu proprio in questo frangente che il nostro eroe fu inviato nella città meneghina da Lorenzo il Magnifico. Il pretesto era quello di recare un dono al Duca con l’intento, da parte dei Medici, di dimostrarsi ben disposti nei confronti degli Sforza.

E qui arriviamo all’antenato del nostro attuale curriculum vitae e delle lettere di presentazione che il popolo dei cercatori di lavoro conosce molto bene.

Il curriculum di Leonardo Da Vinci
La lettera di presentazione/curriculum di Leonardo Da Vinci, 1482

Avendo, signor mio Illustrissimo, visto et considerato ormai ad sufficienzia le prove di tutti quelli che si reputano maestri et compositori de instrumenti bellici,   et che le invenzione e operazione di dicti instumenti non sono niente alieni dal comune uso…

Leonardo Da Vinci

Una partenza col botto direi! Praticamente in tre righe dice che tutto quello che è stato realizzato da chi si reputa un maestro, altro non è che oggettistica bellica di uso comune, ponendosi così al di sopra di tutti questi pseudo inventori.

Decide così di articolare, in dodici punti, le sue capacità di inventore, elencando le macchine da guerra e i progetti che da sempre gli giravano in testa, lasciando solo agli ultimi punti le sue doti di architetto, scultore e pittore (a cui far ricorso in tempo di pace). Senza dubbio Leonardo conosce bene il suo interlocutore e il Ducato che Ludovico il Moro rappresenta: Milano non è Firenze, che spesso ha cercato la pace nella Penisola al fine di proteggere i propri interessi, e gli Sforza non sono i Medici, tanto meno Ludovico è Lorenzo. Il Ducato è guidato da un signore battagliero, che preferisce la guerra alla diplomazia e, proprio per questo, inizia facendo l’elenco di diverse macchine da guerra e opere civili di difesa della città. Gli Sforza non sono i Medici, pur non disdegnando le arti e gli artisti (ricordiamo che anche costoro davano prestigio alle diverse città nelle quali operavano).

In un’epoca in cui i trattati di pace venivano siglati e disattesi come se nulla fosse, costringendo i diversi Stati ad essere perennemente in allarme e pronti alla battaglia, Leonardo pensa bene di proporsi come ingegnere militare, relegando alla fine della lettera (di certo perché non ha mai particolarmente amato essere conosciuto soprattutto per le sue doti di pittore, preferendo le arti belliche) le capacità che gli hanno dato la fama e chiudendo con la proposta di un monumento equestre dedicato al padre di Ludovico, Francesco Sforza. Tale monumento non fu mai realizzato in quanto le tecnologie dell’epoca non lo permettevano sia a causa delle dimensioni colossali previste dall’artista, sia per il materiale, il bronzo, che non era in grado di reggerle.

Tornando al curriculum, Ludovico il Moro dovette accettarlo di buon grado, anzitutto perché Leonardo si proponeva autonomamente (una specie di autocandidatura ante litteram), ma soprattutto perché la sua fama di pittore lo precedeva di gran lunga. Leonardo rimarrà alla corte del Moro fino al 1499, anno in cui Luigi XII di Valois-Orléans conquisterà la città costringendolo a cercare lidi migliori. Lascerà alle sue spalle una serie di dipinti (il già citato Cenacolo, la Vergine delle rocce, il Ritratto di musico, la Dama con l’ermellino, solo per citarne alcuni), nessun monumento equestre e nemmeno opere di ingegneria civile e militare compiute.

Il curriculum/lettera di presentazione verrà poi inserito all’interno del famoso Codice Atlantico, la maggiore collezione di scritti e disegni di Leonardo (conta ben 1119 fogli scritti su entrambe le facciate) conservato dal 1637 presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.

Anche Leonardo, come molti di noi, ha dovuto autocandidarsi per poter lavorare, nonostante la sua fama e le sue straordinarie capacità. Questo lo rende un precedente illustre per chi, soprattutto in questo periodo, è in cerca di lavoro ed è uno sprone per chi ha perso le speranze: Leonardo è uno di noi!

Perugia – Osteria numero 13

Nella nostra visita a Perugia non ci siamo fatti mancare un pranzo a base di specialità umbre e, nel nostro girovagare per la città, abbiamo scelto questo locale che si trova in Via della gabbia 13, in posizione centrale e proprio di fianco alla meravigliosa Sala dei Notari. Tenendo come punto di partenza Piazza IV novembre (centralissima, sulla quale si trova anche l’ingresso della Galleria Nazionale Umbra), l’Osteria numero 13 dista due minuti a piedi.

Osteria numero 13 – Via della Gabbia 13, Perugia (fonte: squisy.it)

Dopo esserci fatti un’idea dei diversi ristoranti nel circondario attraverso le recensioni di TripAdvisor, abbiamo optato per questa struttura sia per la sua centralità che per il ricco menù che propone ai clienti.

Il locale si presenta, all’ingresso, con il bancone sulla destra e la cucina di fronte, dove siamo stati accolti con un grande sorriso dalla cuoca e dal titolare del ristorante che ci ha accompagnati -attraverso una scaletta- nella sala al piano superiore nella quale ci sono una decina di tavoli bene illuminati e inseriti in un ambiente accogliente, riservato e tranquillo.

Dopo aver letto il menù, ed essendo la nostra prima volta in Umbria, abbiamo optato per qualcosa di locale, in modo da conoscere i sapori di questa regione tanto affascinante, così abbiamo ordinato un antipasto dell’Osteria, un piatto unico che ci ha consentito di poter assaggiare diversi prodotti locali.

Antipasto dell’Osteria

C’è da dirlo: dopo un piatto come questo, così vario e ricco, la fame è quasi soddisfatta e ci si potrebbe fermare, soprattutto se si ha in previsione di fare una visita alla Galleria Nazionale Umbra. Ma non è stato il nostro caso, così siamo passati ad un primo: maccheroni alla norcina cucinati seguendo la ricetta tradizionale e, per chi soffre di intolleranza al lattosio, tagliatelle ai funghi porcini.

Maccheroni alla norcina (ricetta tradizionale)
Tagliatelle ai funghi porcini

A questo punto ci siamo considerati davvero soddisfatti. E sazi, soprattutto. I sapori forti e decisi, ai quali noi non siamo abituati, ci hanno fatto scoprire una parte d’Italia che non conoscevamo anche attraverso il suo cibo, facendoci gustare i prodotti dei luoghi direttamente “sul posto”. Questa è la conferma che, per qualsiasi cosa possiamo acquistare in un supermercato, i veri sapori li si scoprono solo recandosi nei posti originari.

Siamo così passati al caffè ed abbiamo chiesto il conto, che si è dimostrato essere -a mio avviso- onesto: 45,50€ comprensivo di coperto e bottiglia d’acqua, oltre che l’offerta di un amaro a fine pranzo che (mio malgrado) ho dovuto declinare in quanto nel pomeriggio mi sarei dovuto rimettere alla guida.

Direi che l’Osteria numero 13 è davvero da provare, sia per la posizione centralissima a Perugia che per il menù e il contesto intimo nel quale si inserisce.

Voi siete mai stati a Perugia, o magari ci vivete? Che ne pensate? Spero che questo articolo possa esservi utile per la scelta di un ottimo ristorante!

Buon appetito!

Sbirranza

Sbirranza è una sketch comedy composta da dodici episodi da tre/quattro minuti ciascuno, nella quale si raccontano le avventure di Nick (Pippo Crotti) e Tom (Marco Rossetti), due detective privati confinati all’interno della loro auto. Intorno (e dentro) a questa succede veramente di tutto, dal tentativo di scambiarsi il posto senza scendere dalla macchina, alle incursioni della fidanzata di Tom, fino a salti nel passato. E se Nick è un tipo social, sempre piuttosto allegro e -alle volte- fulminato, Tom invece è un ragazzo serioso e imbronciato con alcuni guizzi di follia.

Nick (Pippo Crotti) e Tom (Marco Rossetti)

Ve ne parlo, in un modo un po’ diverso rispetto al solito formato che uso per “recensire” i film, perché Sbirranza è una sketch comedy alla quale tengo particolarmente. Prodotta da Taodue (la stessa casa di produzione di Checco Zalone per intenderci, ma non solo) e trasmessa su Mediaset Italia2 nel mese di dicembre, nasce da un soggetto di Pippo Crotti e alla stesura della sceneggiatura ho contribuito anche io.

Non ne faccio un articolo per tirarmela, ma perché è un piccolo passo verso quel sogno che inseguo da sempre e che si chiama Cinema. Non è un punto di arrivo ma sicuramente un punto di partenza, e anche se questa può sembrare una frase fatta vi assicuro che non è così. Non mi accontento, anche se sono felice di questo inizio.

La miniserie richiama e prende un po’ in giro i polizieschi americani, con tutto ciò che li caratterizza (pistole&parolacce in primis), ed ho avuto la fortuna di poter essere sul set insieme agli attori e alla troupe mentre quello che avevamo scritto diventava realtà sotto gli occhi di tutti.

E’ stata la mia prima volta, ed è stata una magia. Ovviamente parliamo di un set che non ha nulla a che fare con quelli dei kolossal americani o comunque di un film ad alto budget, ma ogni presenza è stata fondamentale e professionale per la buona riuscita degli episodi, girati a tempo record. Il tutto si è svolto, infatti, nell’arco di tre giorni nel mese di luglio, in un clima allegro e bello, ed ho avuto modo di fare anche la comparsa in un paio di episodi, dove non sono mancate delle guest star d’eccezione, come ad esempio Gianluca Scintilla Fubelli, Angelo Pisani, Laura Locatelli e Virginia Perroni.

Un sogno, il Sogno, che si avvera piano piano. La strada è lunga, lunghissima, ma non dispero di riuscire a fare il lavoro che ho sempre sognato fin da bambino.

Sbirranza è ora sul sito di MediasetPlay, a questo link. Guardatela, se vi va e se avete tempo, e poi fatemi sapere cosa ne pensate!