Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle

Il 2019, come è noto ormai a tutti, è l’anno di Leonardo Da Vinci.

Morto ad Amboise il 2 maggio del 1519, quest’anno vede una serie pressoché infinita di celebrazioni del Genio toscano in occasione del suo 500esimo anniversario, che viene celebrato in tutto il mondo e soprattutto in quelle città italiane nelle quali Leonardo è vissuto o anche solo passato (basti pensare a Milano, Firenze o la stessa Vinci). Di pari passo con le celebrazioni, si sono moltiplicate le pubblicazioni -già consistenti a dire il vero- sull’Uomo simbolo del Rinascimento italiano e il romanzo di Massimo Polidoro è uno di quelli, mentre qui potete trovare il mio post sul primo curriculum vitae della Storia (e indovinate di chi è..)

La trama, in breve

Attraverso un memoriale, immaginato ma verosimile, scritto da Francesco Melzi, il libro racconta i punti oscuri e le zone d’ombra della vita di Leonardo Da Vinci. Allievo prediletto di Leonardo per la sua precisione e la sua tranquillità, Melzi sarà colui che seguirà Leonardo a partire dal suo viaggio a Roma nel 1513 in tutte le sue peregrinazioni in Italia ed in Europa, fino ad arrivare ad Amboise, dove il Genio vinciano lo nominerà erede di tutti i suoi beni alla sua morte.

Il mio parere personale

Il libro di Massimo Polidoro è di quelli che si inseriscono nel filone dei manoscritti ritrovati tanto caro ad Umberto Eco e Alessandro Manzoni che già avevano utilizzato il medesimo espediente narrativo per i loro romanzi più famosi. La lettura scorre bene e veloce, ma qua è là a mio avviso traspare ciò che Polidoro è realmente: un eccellente divulgatore. Ma non un narratore. In alcuni passaggi si ha la sensazione di essere davanti ad un semplice elenco di fatti che hanno caratterizzato la vita di Leonardo Da Vinci, senza che ci sia quel collante letterario che invece si ritrova nei romanzi dei narratori.

Non fraintendetemi: vale assolutamente la pena di leggerlo. La storia di Leonardo è conosciuta ma non conosciutissima se non per quanto riguarda le sue stravaganze, i suoi molteplici interessi e, molto spesso, i suoi segreti inesistenti. Polidoro riesce a sfatare molti dei miti che perdurano ancora oggi sulla figura di quest’uomo, corredando di note quelle parti del testo che, per dovere di narrazione, vengono leggermente falsate o adattate.

Leonardo è una di quelle figure della Storia che hanno fatto versare fiumi di inchiostro in tutti i secoli, diventando protagonista di tomi infiniti di studi e dissertazioni. Leonardo. Il romanzo di un genio ribelle si aggiunge alla folta bibliografia che tratta l’Uomo Universale ma che, a mio avviso, in questo romanzo sembra rimanere sullo sfondo. Si parla di lui ma si ha come l’impressione di essere davanti ad uno schermo su cui scorrono delle slide. Sono comunque certo che gli estimatori del Segretario Nazionale del CICAP non rimarranno delusi dalla lettura ma anzi avranno voglia di approfondire quella che è stata una delle vite più avventurose dell’intero Rinascimento Italiano.

Voi avete letto il libro di Polidoro? Che ne pensate?

Stanlio e Ollio

Chi non ha mai visto un loro film? Chi non ha riso almeno una volte alle loro gag incredibilmente surreali e fantasiose? Un film per riscoprire il mito di Stan Laurel & Oliver Hardy e che anche le nuove generazioni dovrebbero guardare.

La trama, in breve

Siamo negli anni Cinquanta, all’inizio del tour teatrale di Stanlio (Steve Coogan) e Ollio (John C. Reilly) in Inghilterra. Sono passati diversi anni da quando la coppia comica del cinema era al massimo dello splendore, ed ora il periodo buio è arrivato anche per loro. Se la gente continua ad andare al cinema a vedere i loro film, la presenza incombente della televisione fa si che il pubblico non li segua a teatro, dove i due continuano ad esibirsi anche davanti ad un pubblico sparuto.

La mancanza di pubblico, vecchi rancori mai sopiti e la malattia di Oliver però rischia di minare un’amicizia trentennale tra le più proficue della storia del cinema.

Il mio parere personale

Come avrete notato non amo molto scrivere la trama dei film che guardo, proprio perché, oltre ad essere ormai reperibile ovunque, può esserci il rischio che qualcuno leggendola non ci trovi nulla di particolare da suscitare emozioni come me ne ha regalate questo film. Infatti se la trama può risultare lineare e forse anche un po’ didascalica (tratta dal libro Laurel & Hardy – The British Tours di ‘A.J.’ Marriot), in un’ora e mezza viene raccontata quella che è stata una delle amicizie più incredibili della storia della Settima Arte, facendo rivivere sullo schermo due icone come era già successo con il Chaplin di Richard Atteborough (se non l’avete visto recuperatelo assolutamente!).

E, proprio come per il film con Robert Downey Jr., anche in questo si raggiungono livelli di poesia veramente eccezionali, nei quali si vedono due persone delle quali, come dice qualcuno, hanno buttato via lo stampino. Perché è questo che risalta da questo film: le persone. Stanlio e Ollio fuori dal set, quando erano semplicemente Stan e Oliver e le bombette dei loro personaggi erano riposte sull’appendiabiti. Un film sul Cinema e sul periodo successivo a quello d’oro dello splastick (per chi non conoscesse il termine, slapstick comedy indica quelle commedie nate nel periodo del muto e che si basavano sul linguaggio del corpo), dove alcuni attori avevano iniziato la loro parabola discente. Stan & Ollie, o dovrei dire Stan & Babe, come voleva essere chiamato Oliver Hardy -e riguardo al nomignolo e alle sue origini vi rimando al libro Mr. Laurel & Mr. Hardy di John McCabe la cui edizione italiana è curata dall’associazione Noi siamo le colonne– che nonostante abbiano avuto anche momenti di divergenza alla fine si sono sempre ritrovati senza mai perdersi davvero.

Credo che la sostanza di questo film sia un puro e semplice atto d’amore nei confronti di due uomini che hanno sempre avuto la capacità di vedere il mondo con gli occhi dei bambini e restituendocela, rimanendo nell’animo dei bambini loro stessi. Non importa quanto il mondo sia cinico e cattivo con loro, Ollio e Stanlio riusciranno sempre a vincere e noi faremo sempre il tifo per loro, in ogni situazione. Perché, in fondo, tutti noi siamo sia Stanlio che Ollio e perché

Il mondo è pieno di persone come Stanlio e Ollio. Basta guardarsi attorno: c’è sempre uno stupido al quale non accade mai niente, e un furbo che in realtà è il più stupido di tutti. Solo che non lo sa

Oliver Hardy

P.S. veramente lodevole l’iniziativa di RaiMovie di trasmettere tutti i film e le comiche della coppia, ogni sera alle 20. Un’operazione che poteva sembrare improbabile quanto impossibile e invece dimostra che esistono ancora persone coraggiose capaci di osare.

Vita di San Francesco d’Assisi (Legenda Maior)

San Bonaventura da BagnoregioVita di San Francesco d’Assisi

La biografia del Santo di Assisi, scritta nel 1260 da San Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell’Ordine dei Frati Minori e approvata nel 1263 dal capitolo generale  di Pisa, costituisce la principale fonte di informazioni sulla vita del Poverello di Assisi, redatta anche grazie alle testimonianze di chi ha conosciuto direttamente San Francesco durante il suo periodo di predicazione.

La trama, in breve

Vita, opere, morte e miracoli di San Francesco d’Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone (1181 – 1226), scritta dal suo settimo successore a Ministro dell’Ordine e ritenuto un secondo padre dei Poverelli che prendono il nome dalla città dove nacque il Santo, la Vita di San Francesco d’Assisi (detta anche Legenda Maior per distinguerla dalla Legenda Minor, un compendio liturgico) è il racconto dell’opera evangelica del Giullare di Dio -citando il titolo di un film di Roberto Rossellini del 1950- basandosi su racconti orali raccolti da San Bonaventura da chi ha conosciuto direttamente il Santo: i primi frati dell’Ordine, le persone del popolo e anche diversi esponenti della Chiesa.

La biografia rielabora, amplia e ogni tanto condensa i fatti narrati anche da Tommaso da Celano, il quale fu incaricato per primo da Papa Gregorio IX di redigere una Vita del Santo, ma che risultò poi insoddisfacente agli occhi dei frati e sostituita dal libro di San Bonaventura.

Il mio parere personale

Parto subito dicendo che non ho acquistato il libro per una particolare devozione nei confronti di San Francesco ma semplicemente per curiosità e voglia di conoscere la storia di questo Santo tanto particolare. Ho pensato fosse bene affidarsi, in prima battuta, al testo che costituisce il fondamento della storia biografica di quest’uomo e che ha ispirato anche il ciclo di affreschi di Giotto presenti all’interno della Basilica di Assisi.

Tradotto dal latino senza perdere la fluidità che fin dall’inizio lo ha contraddistinto, il libro racconta, diviso in tre macro-aree (la vita, i miracoli post mortem e i miracoli operati in vita), la nascita del culto di San Francesco che, fin da subito, si è dimostrata essere molto forte e sempre in crescendo, in Umbria ma anche in tutta la penisola e all’estero. Gli episodi narrati seguono passo passo il passaggio da Giovanni di Pietro di Bernardone a San Francesco, dalle scorribande giovanili, l’abbandono della casa paterna, fino al ritiro spirituale e la fondazione dell’Ordine, la cui vita è scandita dall’omonima regola approvata nel 1223 da Papa Onorio III con la bolla Solet Annuere.

Di particolare rilevanza è, a mio avviso, la prima parte, nella quale San Bonaventura racconta la particolare vocazione del giovane di Assisi a cui ha fatto seguito la fondazione dell’Ordine e il suo particolare “nuovo modo” di approcciarsi alla vita e a tutto ciò che lo circonda, dalla natura ai suoi nuovi fratelli, seguendo e realizzando l’ideale di povertà che avrebbero da lì esportato oltre i confini umbri.

In questo libro vi si narrano i miracoli, le conversioni, le “missioni” all’estero, gli incontri fatti dal Santo durante il corso della sua vita, le stimmate, fino a giungere alla morte, accolta da Francesco come una benedizione. 

Non vi nascondo il mio scetticismo nel leggerlo, forse per la mia naturale propensione ad essere piuttosto realista su certe cose. Durante la lettura non sono mancati i momenti in cui mi interrogassi sul significato di certe azioni compiute da San Francesco, sul reale motivo per cui quest’uomo avesse abbandonato tutto, rinnegando la sua vita e la sua famiglia, per seguire una vita fatta di stenti e privazioni. Quindi la domanda che mi sono posto più spesso è stata: Perchè?

L’idea che parlasse con le creature del Creato, che ammaestrasse le rondini, i grilli e i lupi ci restituisce un’immagine molto romantica dell’uomo che entra in contatto con la natura, diventandone parte integrante, e credo anche che questi avvenimenti, che hanno dello straordinario, fossero piuttosto credibili all’epoca dei racconti.. ma ai giorni nostri?

Avrete capito che, pur non essendo un ateo, molto spesso mi pongo delle domande alle quali non è possibile trovare risposta, specialmente per quanto riguarda la Teologia e l’insegnamento della Chiesa. Reputo, in ogni caso, che San Francesco abbia avuto una vita straordinaria, e leggere questo libro mi ha di certo aiutato ad indagare anche i miei “limiti” riguardo all’argomento. Dal punto di vista della lettura è molto scorrevole, senza tecnicismi e senza continuamente ricorrere alla “missione per conto di Dio” alla quale Francesco sembrava chiamato. E’ un testo utile anche per capire gli affreschi della Basilica superiore di Assisi, dipinti da Giotto, il quale si è basato su questo testo per la loro realizzazione.

E voi cosa ne pensate? Che rapporto avete con il tema della Santità trattato da molti libri? 

Aspetto un vostro commento! 🙂

La Firenze segreta di Dante

la-firenze-segreta-di-dante

 

Due cose sono innegabili: la prima, che amo davvero Firenze, una delle città d’Italia che preferisco e che adoro in ogni suo aspetto; la seconda è che Dante esercita su di me un fascino non indifferente.

Ho comprato questo libro presso la libreria Feltrinelli RED in piazza della Repubblica, proprio nella città del Sommo Poeta, nel novembre scorso e l’ho praticamente divorato.

Ma andiamo con ordine.

La trama, in breve

Non proprio una trama, come nei romanzi, ma un percorso, un cammino per le strade della Città del Giglio seguendo le lapidi collocate sui muri in diversi angoli delle strade e che riportano i versi della Divina Commedia. Sono 34 in tutto, di cui 9 fanno riferimento a terzine contenute nell’Inferno, 5  a quelle del Purgatorio e 20 a quelle del Paradiso.

Posizionate nel 1900 su indicazione di alcuni illustri dantisti dell’epoca, le lapidi consentono di riferire le terzine a luoghi reali nei quali il Poeta (che con la sua città natale ha sempre avuto un rapporto conflittuale) ha vissuto prima dell’esilio.

Con l’ausilio degli scritti dei biografi di Dante (Boccaccio in primis), Dario Pisano ci accompagna per le vie della città alla scoperta di angoli anche non frequentati dal turismo di massa ma che racchiudono nei loro angoli la storia di quello che è stato il maggiore Poeta italiano ed il cittadino più illustre (riconosciuto però a posteriori) del meraviglioso capoluogo toscano.

Il mio parere personale

Il libro di Dario Pisano è un racconto, una guida sulla vita di Dante rapportata alla sua città natale. Basandosi sulle opere del Poeta ma anche sugli scritti di biografi successivi, ricostruisce il percorso (reso esaustivo ed essenziale da questo articolo di Firenzetoday.it) che si snoda tra le vie della Firenze storica, illustrando allo stesso tempo il significato delle terzine riportate sulle lapidi collocate lungo i muri dei palazzi.

Basandosi su queste, Pisano ricostruisce il contesto storico della città (e dell’Italia medioevale), tenendo conto del ruolo che Dante stesso svolge all’interno della comunità fiorentina nei tempi che precedono sia la sua elezione a Priore di Firenze ma soprattutto l’esilio forzato che lo vedrà poi morire a Ravenna. Utilizzando un linguaggio semplice e comprensibile, l’autore ripercorre le tappe di quella che è stata la vita pubblica dell’Uomo Alighieri, prima ancora che del Poeta Dante, oltre che raccontando aneddoti sulla città e sui luoghi nei quali le lapidi sono collocate.

Vale la pena di leggerlo per conoscere sia la meravigliosa città di Firenze sia per scoprire aspetti meno noti della vita di Dante, al quale la Città del Giglio è indissolubilmente legata.

L’unico aspetto ostico ma doverosamente necessario, a mio avviso, è costituito dalle parti tratte dal Trattatello in laude di Dante di Giovanni Boccaccio. Scritto in volgare tra il 1357 e il 1361, alcuni passi vengono riportati nel libro pari pari, senza adattamenti linguistici all’italiano contemporaneo. Essendo la fonte di informazioni più vicina all’epoca in cui Dante ha vissuto (le notizie biografiche su Dante, il certaldese le acquisisce da persone che hanno conosciuto il Poeta in prima persona, tra le quali c’è il figlio Jacopo Alighieri) è, sotto certi aspetti, la più attendibile, anche se la devozione che Boccaccio prova per Dante lo porta a rivestirlo di un’aurea leggendaria che poco ha di storico.

La Firenze segreta di Dante di Dario Pisano rimane comunque un bel libro che ho adorato. Fornisce spunti per future visite alla città, lontano da quelli che sono i soliti obiettivi dei turisti che la visitano per la prima volta. Una guida sulle orme di Dante, uno spaccato sulla sua vita e su quella della Firenze medioevale che non mancherà di rivelare angoli nascosti e semisconosciuti che lasceranno sorpresi.

Il Ladro di Corpi

La copertina del libro

La ragione mi disse che era troppo presto per pensare a qualsiasi raggiro. Inoltre, non avevo mai nutrito grande interesse per la vendetta. La vendetta è la preoccupazione di coloro che a un certo punto si ritrovano sconfitti. E io non sono sconfitto. Per niente. La vittoria è molto più interessante da contemplare della vendetta.

Anne Rice – Il Ladro di Corpi

Quando si parla del ciclo di romanzi de Le cronache dei Vampiri scritti da Anne Rice, si parla in verità di uno solo di loro: Lestat de Lioncourt.

Protagonista assoluto di questo quarto romanzo della serie, narra in prima persona tutto ciò che accade, dall’incontro con il Ladro di Corpi Raglan James fino all’inaspettato epilogo.

La trama, in breve

È la solitudine la «maledizione» che si è impadronita di Lestat, bello, malinconico e crudele principe del cupo universo dei vampiri. Sulla dolorosa onda di quella solitudine, Lestat ha accarezzato un bruciante desiderio: rinascere come mortale, liberarsi della sua condizione di non morto e tornare a essere vivo… C’è qualcuno che può soddisfare quel desiderio: l’ammaliante Raglan James, il Ladro di Corpi, che da tempo insegue Lestat e che, a sua volta, ambisce a diventare vampiro. A nulla varrà l’avvertimento di David Talbot, l’unico amico «umano» di Lestat, e di altre creature della notte. Il patto sarà stipulato e avrà conseguenze oscure e maligne…

Dalla quarta di copertina

Il mio parere personale

Presente in ogni libro del ciclo iniziato nel 1976 con Intervista col Vampiro, Lestat è il Principe delle Tenebre che si muove attraverso i secoli e lungo i dodici romanzi della serie, seminando morte e prosciugando il sangue delle sue vittime, non senza rancori e rimorsi.

In questo capitolo si trova ad aver a che fare con Raglan James, il Ladro di Corpi, che lo convince ad effettuare uno scambio: un corpo umano il suo corpo di vampiro. Ovviamente Lestat non se lo fa ripetere due volte e accetta, ma non tutto va come vorrebbe e come si aspetta che andasse. James non è uno stinco di santo e lui si trova intrappolato in un corpo che non ha i poteri di vampiro a cui è abituato e presenta tutti gli impedimenti che un corpo umano può avere e che ha dimenticato (Lestat infatti è un vampiro da circa duecento anni!).

Contrariamente al Dracula di Bram Stoker, i vampiri di Anne Rice vivono la loro condizione di non-morti come una dannazione, pieni di crucci che li rendono più umani di certi uomini. Lestat, nonostante tenti più volte di nasconderlo e di apparire più malvagio di quanto in realtà non sia, non è diverso dagli altri e il suo precipitoso accettare lo scambio di corpi è sintomo del desiderio bruciante di tornare umano.

Dolente da vampiro e da umano, spesso assalito dai dubbi sulla bontà delle proprie azioni, Lestat si muove lungo le 479 pagine dell’edizione TEA – Longanesi del romanzo alla ricerca di una risposta alla domanda che prima di lui aveva tormentato il suo compagno Louis de Pointe du Lac: ho meritato di essere quello che sono?

Un romanzo che scorre bene, anche nelle discussioni teologiche su Dio e Satana (poche, in verità), che ammalia, incuriosisce e in alcuni punti fa riflettere sul senso di quelli che sono per noi i gesti quotidiani che non ci accorgiamo nemmeno di compiere, oltre che sulle relazioni tra le persone che spesso vengono date per scontate e che non sono prive di delusioni cocenti.

Nel suo imparare ad essere (ancora) umano, Lestat sbaglia, cade e si rialza ogni volta più forte di prima, animato dalla consapevolezza che la sua natura ormai è quella di essere un figlio della notte che non ha più nulla a che vedere con la luce del giorno: lo scambio è per lui decisivo per renderlo consapevole di questa situazione. Al suo fianco c’è lo studioso David Talbot, l’unico amico umano che Lestat si è fatto nel corso degli anni.

Leggendo il libro ci si accorge di quanto amore abbia Anne Rice per i vampiri che ha creato, quanto li capisca e quanta compassione provi per loro, costretti a vagare nella notte per l’eternità, spiando la vita dei mortali che nei secoli addietro era appartenuta anche a loro.

Io ho acquistato questa versione, comoda, flessibile e non troppo voluminosa. E con un’immagine di copertina che mi piace molto.

Anche voi avete letto Il Ladro di Corpi? Vi è piaciuto?